Questo è un post passato ma molto speciale. Non voglio confonderlo e dimenticarlo in mezzo agli altri, e al contrario, mi farebbe piacere ricevere ancora commenti e impressioni su quanto segue.

Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro / capirai che altra gente si è fatta le stesse domande

12.10.2005 - 11:19
Leggo: La speculazione edilizia [Italo Calvino]
Ascolto: Depende [??]


Quanto tempo.
Quanti mesi? Credo un anno. Sempre post frettolosi, due righe rubate alla marea di idee che mi vengono in mente mentre cammino, mangio, dormo, ascolto, parlo. Rielaboro costantemente ciò che penso. Ora per esempio sono estremamente nervosa e cerco di trovare le parole per dirlo, mica facile, è un misto di sensazioni dettate dal momento, la contingenza specifica dell’evento “pomeriggio di fancazzismo insaporito alla solitudine e alla nostalgia accompagnato da nervosismo dettato dal non capirci una mazza di fisica”, unito a varie sensazioni più o meno storiche, diciamo perenni.
Però mettermi davanti a un foglio bianco (per quanto virtuale) riesce sempre ad aiutarmi. Chissà perché. A certe persone basterebbe uscire un attimo, ma, sinceramente, ora, non saprei chi chiamare per fare due passi (a Roma c’è tutto tranne gli amici lasciati al paese); potrei leggere ma mi affatico e La speculazione edilizia, che ho cominciato, non è proprio il genere di romanzo che ti cattura senza permetterti di alzare gli occhi dalla pagina. Potrei tornare a fare fisica ma l’idea di rimettermi a smanettare con la velocità istantanea e le derivate…


L’altro giorno L’ho incontrato. E voglio dire, mica una cosetta da niente. Un desiderio vecchio diciannove primavere. Posso cominciare spiegando perché per me è così importante. La risposta semplice, che do a chi (pagano) mi chiede addirittura chi sia, è: “Lo ascolto da sempre, mio padre me lo cantava nella culla, ci sono cresciuta.”
La risposta un po’ più complessa ed intima prevede la frase: “È l’unica cosa che non è mai cambiata da quando sono nata.” Sfido chiunque a trovarmi una costante della loro vita.
Ma la faccenda è più complicata. Perché Lui per anni è stato solo una voce scontata, sempre udibile in casa, come il colore delle pareti, l’odore della cena ad una certa ora, il tepore delle lenzuola fresche, il freddo del pavimento, tutte le briciole e le manate sui muri e le crepe e le maniglie e tutto, insomma, quel che ha costituito il mondo fatato della mia infanzia. Da bambini la propria casa, la propria famiglia, gli amici, la scuola e tutto il resto, fanno parte di una sola grande entità e senza che ci si chieda (con quel piglio filosofico tipico dell’adolescenza) perché o come, tutto sembra avere un tempo infinitamente ciclico, l’inverno lungo dieci anni, poi la primavera, altrettanti, e così via, eternamente. Il bambino non crede neanche che si possa diventare grandi. Il mondo sembra essere stato creato solo per lui, ogni cosa è al suo posto, perfetta. E quindi anche Lui. Era un tassello inimitabile e insostituibile della mia infanzia.
Poi però l’adolescenza stronca ogni certezza. Il mondo diviene una grande schifezza. E devi uscire dal mondo fatato, un muro diventa solo un muro, non è più un teatro, una casa, una montagna. Tutto perde l’atmosfera magica di prima. Per un bambino una tazza può diventare qualsiasi cosa, una canzone udita ogni giorno facendo colazione è La Canzone della Colazione. Senza ma e se e forse.
Poi no. Poi si scoprono le differenze. Gli adolescenti impazziscono a causa delle differenze. Vorrebbero che tutto avesse un ordine gerarchico ben preciso, una collocazione, una legge quasi matematica. Per questo adorano riunirsi in branchi e vestirsi tutti uguali, e designano quasi sempre il più stupido ed arrogante come loro capo: lui sembra aver trovato la chiave per sopravvivere in questo mondo tutto diverso. Scoprii alle medie che Lui era solo uno fra tanti, quasi non mi interessava più. Però in casa c’era sempre. La casa che persa la sua aurea magica, era solo un accozzaglia di mattoni. Poi è venuto il liceo. E io ho scoperto con esso (ma non è una legge comportamentale diffusa, c’è chi si ferma alla fase precedente per lustri), che la diversità, il fatto che io sentissi Lui piuttosto che quegli altri, aveva un significato. E quel significato, corrispondeva esattamente con una serie di valori ed ideali che, chissà per quale processo di osmosi chimica, mi erano stati trasmessi dalla mia famiglia, dagli ambienti frequentati per quattordici anni, dalle letture, le visioni, e così via. Insomma, quel mondo unitario dell’infanzia, in realtà era costituito di numerosi input, messaggi, che in me, rapportati al mio modo fantastico di vedere il mondo, avevano prodotto una serie di convinzioni (tipo la pace ad ogni costo, la coerenza, la lealtà, il rispetto, l’uguaglianza – lo so che parlarne ora in questo paese sembra una barzelletta, ma come ho spiegato, non è colpa mia se sono ancorati in me). Insomma, Lui era uno di quelli che mi avevano mandato messaggi, e guarda caso, ho scoperto, giorno dopo giorno dal IV ginnasio, che la mescolanza formatasi nella mia mente, aderiva completamente ad alcune sue parole (tanto per fare un esempio “è bello ritornar "normalità"/ è facile tornare con le tante stanche pecore bianche/ Scusate, non mi lego a questa schiera/ morrò pecora nera”).
Ogni giorno da quell’anno ho trovato qualche sua frase, qualche sua parola (accompagnate da musiche, lo so, spesso semplici e ripetitive ma a mio dire, assolutamente eloquenti ed adatte al testo) che mi ha accompagnato o mi ha aiutato a capire meglio i moti del mio animo, così confusi e disordinati. Ovviamente non c’è stato solo lui. Nel tempo ho scoperto anche Benni, Baricco, Brizzi, Petrarca, Catullo, Calvino, Montale, e tutti gli altri. Ma li ho scoperti. Se guardo indietro, non vedo giorno in cui io non abbia sentito la Sua voce.
Ne deriva naturalmente che (che linguaggio matematico/fisico che uso…) io avessi una voglia pazza di incontrarlo: per dirgli tutto questo (credo in modo più semplicistico, ma non è escluso che ora io gli scriva copiando para para questa paginetta), chiedergli un paio di dubbi e curiosità (l’occasione reale di una delle mie canzoni preferite, una delle meno conosciute, e cose così), salutarlo, farmi una foto con Lui (gadget da fan delle Spice Girl, lo ammetto, ma…) Di tutti questi buoni propositi, solo due sono stati esauditi. Gli ultimi due, i meno importanti in ordine di interesse, ma mi accontento. Per il momento. C’era troppa gente e io ero troppo emozionata per tentare di più (e anche Lui, probabilmente, dopo una serata a registrare non era in condizioni adeguate ad una discussione esistenziale di questo genere). Et voilà:


[Francesco Guccini e me, Studio Radio2, Giovedì 6 Ottobre 2005]

Marge.           British Marge

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